Editoriale
don NICO DAL MOLIN
Quando ho cominciato a raccogliere qualche appunto per dare voce a questo Editoriale, era ancora il tempo sufficientemente tranquillo del prima coronavirus, quando pensavamo che l’emergenza sanitaria fosse confinata nella Cina o in alcune nazioni limitrofe, e che non avrebbe potuto coinvolgerci. Sembra passata un’era geologica da quel momento. Ogni riflessione che ora condividiamo, nello specifico anche questo focus sulla realtà giovanile alla luce del Sinodo 2018, non può non essere segnata da tutto quello che abbiamo vissuto nelle settimane di quarantena, ma che di fatto stiamo ancora vivendo.
C’è un passaggio della Christus vivit che sembra pienamente aderente al tempo che stiamo attraversando. Ed è anche una delle immagini che, ad una prima lettura ell’Esortazione apostolica, mi ha emozionato.
Nel Sinodo uno degli uditori, un giovane delle Isole Samoa, ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là. Non lasciamoci portare fuori strada né dai giovani che pensano che gli adulti siano un passato che non conta più, che è già superato, né dagli adulti che credono di sapere sempre come dovrebbero comportarsi i giovani. Piuttosto, saliamo tutti sulla stessa canoa e insieme cerchiamo un mondo migliore, sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo (CV 201).
«Saliamo tutti sulla stessa canoa e insieme cerchiamo un mondo migliore» … Come non trovare una immediata sintonia con le parole pronunciate da papa Francesco, durante lo straordinario momento di preghiera sul sagrato della basilica di S. Pietro, nel totale silenzio, nella pienezza del nulla, nell’abisso di «un’umanità atterrita dalla paura e dall’angoscia». Era la sera del 27 marzo scorso.
Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. Anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
I giovani hanno bisogno degli anziani, e questo lo si sente ancora più vero alla luce di tante persone anziane che, nel vortice di questa pandemia, ci hanno lasciato senza un saluto, senza un gesto di affetto e di tenerezza, senza un estremo commiato.
Il giorno di Pasqua mi è stato inviato un video molto bello, curato dai giovani della parrocchia di Sommacampagna (VR).
È un inno alla luce, alla bellezza, alla vita in Gesù risorto, che si snoda in sintonia con la sequenza pasquale Victimae Paschali laudes: «Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa». I giovani nel tempo del “coronavirus” I giovani, e ancor più gli adolescenti, spesso non hanno goduto
di una apprezzabile reputazione. Da quando sono stati riconosciuti come categoria antropologica a sé stante, con specifici limiti anagrafici e scopi evolutivi, il riferirsi a loro ha significato evidenziarne le immaturità, le forme di arroganza e di irresponsabilità più che le risorse costruttive.
Dagli adulti essi sono stati rubricati di volta in volta come figli e studenti temibili, reazionari facinorosi, nichilisti privi di valori collettivi, protagonisti delle pagine di cronaca, debosciati, egoriferiti, fragili, vulnerabili. Adolescenza è rimasto un sinonimo di verità minori e negative, persino quando le evidenze hanno cominciato ad essere diverse e i ragazzi hanno preso a mostrarsi come soggetti immeritevoli dei pregiudizi del passato.
Ho letto alcune loro testimonianze che avremmo ritenuto impensabili, quasi fantascientifiche sentire da loro. «So che il Covid-19 fa meno paura a chi ha la mia età, non
è per me che temo. Ma nel mio condominio abitano degli ultrasettantenni e so che per loro invece il contagio potrebbe essere un problema grave» – racconta Giulio, 18 anni.
Il virus che ha messo in ginocchio la quotidianità degli adulti, stravolgendo anche quella dei giovani, ha fatto loro un grande favore: ce li ha fatti riscoprire ricchi di introspezione, sensibilità, capacità di leggere acutamente anche il mondo di adulti. Alice, 17 anni, dice qualcosa di profondamente vero: «Gli adulti lavorano e basta; spesso non hanno interessi o passioni per cui, a molti, se togli l’ufficio, resta poco».
E la scuola? Pensavamo che per molti di loro – soprattutto chi aveva in corso un anno scolastico un po’ disastrato – una possibile promozione d’ufficio (nel ’68 si chiamava un “6 politico”), sarebbe stata un vero colpo di fortuna. Invece, da più parti è risuonato il loro appello: “Non umiliateci, per favore!” Giovanni, 19 anni, che si appresta ad affrontare la maturità scientifica, scrive: «Per un tipo come me, se finisse per essere un esame pro forma non sarebbe una buona notizia. Già sono uno che tende a perdere stimolo di suo, se poi ci proponessero qualcosa di politicamente corretto, farei ancora più fatica a trovare la spinta per impegnarmi».
Per quanto possa sembrare paradossale, per molti di loro la staticità della quarantena è divenuta una opportunità dinamica. Hanno colto di trovarsi in una posizione protagonista e di essere tornati dentro il vissuto di questo momento storico e della loro storia.
Che sia questo «il futuro affollato di scadenze e di luci in fondo al tunnel» di cui ha scritto David Grossman? Un futuro diverso affidato alle mani e al cuore di questi nostri ragazzi e giovani. Per lo scrittore israeliano non è detto che l’emergenza coronavirus non possa insegnarci a essere più umani, capaci di dire SÌ alla tenerezza.
«Ci sarà chi, per la prima volta si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi. Sugli amori che non ha osato amare. Sulla vita che non ha osato vivere. Uomini e donne si chiederanno perché sprecano l’esistenza in relazioni che provocano loro amarezza».
C’era già qualcosa di nuovo nell’aria Solo qualche anno fa – era il 2013 – uno scrittore-giornalista, Michele Serra, pubblicava un romanzo gustoso e acuto: Gli sdraiati, in cui i ragazzi di allora erano visti con gli occhi di un padre, tra humour, senso di impotenza e tenerezza. La situazione, in pochi anni, è profondamente cambiata, anche se non sono cambiate le ansie e le paure dei giovani. Sono i giovanissimi, spesso adolescenti con meno di diciotto anni, i protagonisti di molte mobilitazioni politiche e sociali importanti dell’anno appena passato. Il loro ruolo e la loro partecipazione sono stati centrali nelle manifestazioni Fridays For Future, promosse a livello internazionale da Greta Thunberg.
Non meno evidente e rilevante è stata la partecipazione degli adolescenti alle mobilitazioni popolari che si sono sviluppate in molti Paesi, dal Cile a Hong Kong.
In Russia ha acquisito una notevole visibilità la diciassettenne Olga Misik. Il 27 luglio 2019, nella Piazza Rossa di Mosca, sotto le mura del Cremlino, ha letto gli articoli della Costituzione che garantiscono le libertà civili e politiche, per protestare contro l’autoritarismo del presidente Vladimir Putin.
Era appena il 14 novembre 2019, quando ha preso consistenza la partecipazione di giovani e giovanissimi alle iniziative di piazza delle “Sardine”, cominciate a Bologna e proseguite in numerose città con una partecipazione che ha colto di sorpresa un po’ tutti.
La loro presenza, il loro impegno diretto in queste mobilitazioni ha messo radicalmente in discussione l’immagine più diffusa delle ultime generazioni di adolescenti e giovani, spesso rinchiusi nel mondo digitale dei social network e ritenuti «choosy », cioè schizzinosi, esigenti, identificati come indifferenti di fronte ai più importanti problemi della società che li circonda.
I millennials si propongono con differenze significative non solo nei confronti degli adulti, ma anche rispetto alle generazioni immediatamente precedenti. Sono cresciuti nella fase della rivoluzione digitale, di cui sono spesso i massimi utenti ed esperti, mentre diventano sempre più rilevanti i problemi del crescente degrado dell’ambiente naturale e della scarsità di lavoro e di reddito, che sembrano mettere a rischio, se non compromettere irrimediabilmente, il loro futuro e per certi versi quello del pianeta.
Si registrano così tra gli adolescenti incertezze e inquietudini sempre più diffuse. Non a caso è cresciuto in maniera considerevole l’uso delle droghe leggere, sperimentate nell’ultimo anno da quasi ¼ degli studenti italiani. Ne aveva intuito e anticipato l’importanza Papa Francesco. Rivolgendosi ai giovani nella GMG di Cracovia (2016) diceva:
«Cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per lasciare
un’impronta». E aggiungeva: «Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”».
Il problema dei nostri adolescenti e giovani è sempre il medesimo: di fronte alla vita ognuno è drammaticamente chiamato a scegliere da solo. Questo è profondamente diverso dall’imparare a scegliere in maniera autonoma e responsabile. La speranza: un bene fragile e raro Il messaggio che ci ha lasciato il Sinodo è chiaro: aiutiamoli a coltivare e a custodire la Speranza. Parlare dei giovani significa parlare di promesse, e significa parlare di gioia. Hanno tanta forza i giovani, sono capaci di guardare con speranza. Un giovane è una promessa di vita che ha insito un certo grado di tenacia; ha abbastanza follia per potersi illudere e la sufficiente capacità per poter guarire
dalla delusione che ne può derivare (CV 139).
La Speranza è un bene fragile e raro, e il suo fuoco è sovente tenue anche nel cuore di chi vive con fede. Lo aveva già intuito Charles Péguy: «La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi [la fede e la carità] e non si nota neanche». Quasi invisibile, la «piccola» sorella sembra condotta per mano dalle due più grandi, ma col suo cuore di bimba vede ciò che le altre non vedono. E trascina con la sua gioia fresca e innocente la fede e l›amore nel mattino di Pasqua. «È lei, quella piccina, che trascina tutto».
«Se la Speranza è presente nel cuore di ogni uomo e donna, il Crocifisso Risorto è il nome della speranza cristiana. Vedere, incontrare e comunicare il Risorto è il compito del testimone cristiano». Questo è il momento nel quale tutti noi, preti, genitori, educatori, insegnanti dobbiamo cogliere l’opportunità di riprendere il nostro ruolo di adulti, cioè di persone capaci di essere mature e credibili. Capaci di conformarci alle limitazioni che sono imposte dal più ampio bene comune. Capaci di dare un contenuto e una visione meno scontata e banale al concetto di libertà, rendendoci conto di non avere sempre dato un esempio edificante di come affrontare la vita.
Anche noi da questa emergenza stiamo imparando qualcosa di essenziale: vivere nel modo più rispondente possibile a chi siamo e a chi possiamo essere. Vivere da adulti, lasciando vivere l’adolescenza agli adolescenti.
Con una rinnovata consapevolezza: non siamo chiamati a dire cose originali o nuove, ma piuttosto a parlare con il linguaggio del cuore, non stancandoci di ripetere: «Sperare si può… Sempre! In qualunque circostanza, a qualunque costo!»
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