Presbyteri 6_2021

COSE ANTICHE E COSE NUOVE: IL PRETE E LA SUA FORMAZIONE

Carissimi lettori,

la nostra monografia “estiva” è dedicata al tema sempre “caldo” della formazione permanente.

È indubbiamente una tematica che ci tocca da vicino e che va al cuore del servizio che Presbyteri intende fare. Per questo abbiamo pensato prima di tutto di condividere alcune idee sorte all’interno del confronto redazionale, un piccolo apporto che viene dalla lettura condivisa delle nostre esperienze, pur varie e diversificate, ma che spesso incrociano il tema in questione. Nasce così l’editoriale, nella forma rielaborata su questo numero da don Marco Vitale.

Abbiamo constatato come oggi, nonostante le forze messe in campo, sia ancora difficile elaborare progetti di formazione permanente per i preti. Per questo abbiamo chiesto a don Luca Pizzato, delegato per la formazione del clero nella Diocesi di Treviso, di aiutarci nella ricerca di nuovi sentieri, delineando modalità che possano far crescere un nuovo “stile”. Sentiamo anche il bisogno di metterci in ascolto di voci “esterne” ai nostri presbitèri, perché dal loro punto di vista professionale e personale possano indicare suggerimenti e dare stimoli per uno stile formativo migliore. I coniugi Ileana e Luca Carando indicano la necessità e i punti di forza per un’alleanza con la pastorale familiare; la psicologa e psicoterapeuta Chiara D’Urbano richiama l’attenzione sulla dimensione interpersonale dell’amicizia e della collaborazione tra presbiteri; il professor Sergio Tanzarella mette in guardia da una formazione (soprattutto iniziale) priva di storia e di memoria. Ospitiamo anche la testimonianza di un’esperienza riuscita di formazione permanente che coinvolge laici, preti e religiosi, raccontataci da Marta Lobascio e don Gianni Caliandro.

La rubrica Gesti di condivisione è stata affidata su questo numero al Direttore del Settimanale Diocesano di Rimini; la rubrica Presbyteri digit@li è curata come sempre da don Giacomo Ruggeri; nello spazio dedicato all’Unione Apostolica del Clero proseguiamo il nostro cammino con i Salmi della Liturgia delle Ore.

Auguriamo una buona estate a tutti voi, e speriamo di farvi buona compagnia con le nostre pagine.

Buona lettura!

La Redazione

 

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Editoriale (gratuito)

 

Dalla ricerca di un “modello” alla ricerca di uno “stile” (Luca Pizzato)

In questo tempo di grandi cambiamenti si avverte la necessità di trovare nuovi sentieri per la formazione del clero. Forse è troppo presto per cercare di precisare un nuovo modello o paradigma formativo, ma certamente è necessario dare più attenzione alla vita ordinaria e concreta dei preti e cercare modalità che possano far crescere un nuovo “stile” in cui emerga di più il “noi presbiterale”. L’articolo partendo dall’esperienza suggerisce alcune buone pratiche per sostenere questa ricerca.

 

In alleanza con la pastorale della famiglia (Luca Carando e Ileana Gallo)

Il prete è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo sposo della Chiesa, ad essere capace di amare con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell’affetto materno. Una maggiore collaborazione con la pastorale della famiglia può aprire nuovi e fecondi spazi di riflessione per una formazione globale dei presbiteri, sotto il profilo umano e spirituale.

 

Oltre la formazione, responsabili del proprio cammino (Chiara D’Urbano)

Gli anni canonici di formazione sono caratterizzati da una certa passività recettiva, il seminario propone, e il seminarista aderisce. Una volta terminato quel periodo, è vitale il poter essere affiancati nella missione di vita. Tuttavia il presbitero stesso potrebbe essere il promotore delle risorse che sostengono lui e i suoi confratelli. Il mio contributo si è concentrato sulla dimensione interpersonale dell’amicizia e della collaborazione tra presbiteri – una delle vulnerabilità del nostro tempo – utilizzando come criteri di confronto le dimensioni fornite da un testo scientifico, che aiuta a non vagare nel soggettivo e nell’indefinito.

 

Tra la Bibbia e la storia: riformare la formazione teologica con una “una coraggiosa rivoluzione culturale” (Sergio Tanzarella)

L’articolo parte dall’analisi dell’odierno impianto di studi per la formazione al presbiterato e suggerisce un ripensamento in vista di una nuova formazione teologica e umana dei futuri presbiteri, per evitare generazioni senza memoria e senza storia. Al fine di muoversi verso una “coraggiosa rivoluzione culturale” è necessario restituire alle Sacre Scritture la loro centralità nella formazione teologica, per evitare l’equivoco che la Scrittura diventi funzionale alla teologia e sua prova di conforto. E poi la storia generale, prima ancora di quella della Chiesa. Con particolare riguardo per quella del XX secolo.

 

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EDITORIALE


a cura di don MARCO VITALE

 

Nel suo ultimo libro, La Chiesa brucia. Crisi e futuro della Chiesa, Andrea Riccardi – docente di Storia contemporanea, studioso della Chiesa cattolica e fondatore della Comunità di S. Egidio – indica nella costante e progressiva diminuzione del clero e della pratica religiosa i due parametri più significativi della crisi dell’attuale Chiesa cattolica, specialmente in Europa.

Due parametri, che a ben guardare, coinvolgono da vicino il prete, il suo modo di vivere, di testimoniare la propria vocazione e di evangelizzare. In altre parole, il prete è al crocevia della crisi della Chiesa del XXI secolo sia come soggetto attivo nel suo ministero, sia come destinatario “privilegiato” della formazione della Chiesa stessa.

Ovviamente non sono ancora maturi i tempi per realizzare un confronto ponderato tra l’attuale crisi della Chiesa con quella che la stessa Chiesa visse dinanzi alla riforma protestante ma, senza dubbio, non può passare inosservata che una delle principali risposte del tempo fu, attraverso il Concilio di Trento, la formazione dei preti attraverso l’istituzione dei Seminari.

Dopo 500 anni, aiutati dalla prassi ecclesiale e dalle scienze umane, non possiamo negare che la formazione del clero sia uno strumento imprescindibile per orientare l’attuale crisi verso un’opportunità di crescita e maturazione della comunità ecclesiale, piuttosto che verso un’ulteriore e dolorosa regressione.

In questo panorama la formazione, remota e permanente del clero, mostra tutta la sua importanza per formare un clero (diaconi, preti e vescovi) all’altezza delle sfide della società contemporanea e della cura pastorale delle comunità cristiane, parrocchiali, diocesane.

 

Un primo aspetto, di cui molti “addetti ai lavori” parlano, ma senza che poi tale dibattito prenda forme concrete in scelte consequenziali, è la necessità che la formazione in vista dell’ordinazione (ad oggi identificabile con l’esperienza nei seminari) e la formazione successiva all’ordinazione (quella abitualmente definita “permanente”) sia pensata in modo coordinato. È impensabile continuare ad idearle come due aspetti separati, autonomi ed indipendenti, rivolti a due soggetti diversi (il seminarista e il prete) come se il prete di domani non fosse il seminarista di oggi.

È evidente che in tempi di crisi, non solo la formazione permanente ma anche i Seminari siano generalmente in grandi difficoltà: piuttosto che chiudersi in sé per trovare una soluzione (che probabilmente non arriverà se non da Vescovi lungimiranti), sarebbe opportuno che creassero “alleanza” con i formatori della formazione permanente.  In questo contesto, non si può non accennare alla necessità di formare in modo specifico i preti che dovranno occuparsi della formazione permanente del clero e dei seminari.

 

In questo numero ci concentreremo sulla realtà della formazione permanente.

Ci sono, senza dubbio almeno altre due questioni chiave che, per onestà intellettuale, non è possibile eludere.

La prima, concerne i destinatari della formazione permanente. Generalmente, le diocesi italiane si concentrano sui preti con non più di dieci anni di ordinazione. Dieci anni su circa 40-50 anni di Ministero attivo. Senza grandi analisi statistiche o psico-pedagogiche, è facile intuire che l’investimento è sicuramente troppo esiguo per sperare che porti frutti di qualità ed eviti, almeno, qualche comportamento “pericoloso”. La prima formazione di un prete deve indiscutibilmente nascere all’interno della sua comunità cristiana e terminare… con la sua morte!

La seconda, riguarda la natura stessa della formazione permanente: deve essere sostanzialmente aggiornamento, informazione o piuttosto vera e propria formazione capace di dar forma, modellare il prete, in base a un criterio o a un progetto? Non solo… In ciò che noi chiamiamo formazione permanente del clero (e ancor più negli anni di seminario), non sarebbe opportuna un’attenzione specifica alla dimensione educativa della persona per trarre fuori e sviluppare le sue qualità interiori?

 

Rimane, senza dubbio, un nodo di fondo: quali obiettivi formativi per la formazione permanente del clero? La logica vorrebbe che per stilare gli obiettivi formativi si avesse chiaro cosa e come i preti dovrebbero fare. Purtroppo, se vogliamo essere onesti, non abbiamo questi punti di riferimento anche se possiamo e dobbiamo provare a porci qualche domanda. Il prete, particolarmente del clero diocesano, deve essere formato per servire la comunità parrocchiale? Un conto è essere parroco di 50000 persone in una grande città e un altro è esserlo di 500 persone in montagna o di 3000 in quattro parrocchie di una vallata. Un panorama è quello del parroco “a tempo pieno” un altro è quello del parroco che lavora anche in curia, insegna religione e fa anche il cappellano in ospedale o in carcere. Diversa la situazione di un parroco 30enne e quella di un parroco 80enne…

 

In generale, crediamo sia molto importante proseguire a camminare su:

  1. la linea indicata dal Concilio Vaticano II: non separare mai la vita dal Ministero ma non separare neppure la formazione dalla vita e dal ministero. Come diceva Agostino: «mi nutro di ciò di cui nutro voi»;
  2. l’insegnamento del Vangelo e l’attenzione di Gesù verso gli “ultimi”.

 

All’interno del dibattito sulla formazione permanente del clero c’è poi il confronto sul “luogo” dove svolgere questa formazione. Evito volontariamente di entrare in questo dibattito perché, guardando le svariate scelte fatte in Italia, credo risulti evidente che nessuna sia graditissima e che non si possa offrire suggerimenti generali. Il riferimento però ad un “luogo” teologico-spirituale lo faccio volentieri perché credo possa aiutare, se lo si desidera, a prendere decisioni in merito il più possibile “incarnate”.

Il riferimento a cui sto pensando è quello del discernimento comunitario come “luogo” esistenziale. È innegabile che il discernimento comunitario sia parte della struttura stessa del presbiterio (CD 11) e credo che la responsabilità che condividiamo noi preti con il vescovo ci possa davvero aiutare a crescere. Non è un caso che la più alta definizione di presbiterio venga data da Giovanni Paolo II proprio nel capitolo VI della Pastores dabo vobis dedicato, appunto, alla formazione permanente: il presbiterio è Mistero!

È bene che questo lo ricordino anche i vescovi, della cui formazione permanente si parla assai poco….

Se sapremo strutturare la vita pratica del presbiterio come un luogo di fondamentale discernimento sulla volontà di Dio per la Chiesa di oggi, anche le nostre comunità parrocchiali sapranno assumere lo stesso atteggiamento e, nell’affrontare le situazioni che via via la provvidenza ci pone di fronte, sapremo crescere anche noi preti in modo integrato ed armonioso; potremmo anche avere un luogo, sia nel presbiterio che nella parrocchia, di affettuosa reciprocità (comunione) che è l’humus sul quale è possibile edificare il discernimento e la Chiesa.

 

Il dibattito sulla formazione del prete ovviamente non termina in questa monografia ma speriamo che il nostro contributo possa suscitare l’interesse dei nostri lettori e favorire il loro contributo sul tema nelle loro realtà ecclesiali.

 

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