don GIANNI CALIANDRO
della Redazione di Presbyteri
Preti esploratori
In questo straordinario momento di cambiamento, quanto sta avvenendo nel contesto italiano chiede al nostro ministero presbiterale di assumere sempre più chiaramente e decisamente una dimensione missionaria. Il Santo Padre lo ha chiesto a tutti i cristiani che vivono in Italia, ribadendo la chiamata che Dio rivolge a tutti, quella ad essere discepoli missionari che si fanno condurre dallo Spirito: «La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre più lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e mai spaventati dalle frontiere e dalle tempeste». Questo richiamo vale, evidentemente, anche per noi presbiteri: chi oggi assume questo ministero nella comunità ecclesiale deve essere consapevole che si tratta di un servizio di missione. Non solo pastori, allora, che ricevono dal Signore il compito di custodire e guidare il gregge, ma anche pescatori, spinti dalla voce del Maestro a prendere il largo e trovare in lui la forza di affrontare il mare (cf Lc 5,4): ecco di quali preti oggi hanno bisogno le chiese ita- liane, preti missionari capaci di fare del proprio ministero pastorale una affascinante esplorazione.
La ragione ultima perché come presbiteri iniziamo il nostro viaggio missionario è quella di seguire il Signore che ha fatto della sua stessa vita una missione, uscendo dal seno del Padre per venire in mezzo a noi. La radice del ministero pastorale è sempre una radice spirituale, nasce dalla contemplazione del farsi presente di Dio nella storia degli uomini. Quando pensiamo alla Chiesa in uscita, e ad un prete in uscita, dobbiamo pensare soprattutto al mistero dell’iniziativa di Dio che esce per venirci incontro. Un antico autore medievale cosi esprime questo mistero: «Ecco l’effusione! Colui che era ammirabile negli eserciti degli angeli abbassa i cieli e si fa consigliere degli uomini. Un nome di maestà si effonde in uno di compassione; colui che è mirabile in cielo viene sulla terra per consigliare, nasconde la porpora sotto misere vesti. E si abbassa fino al fango in cui giacevo, senza immergervisi».
Fissando lo sguardo in questo mistero saremo aiutati a comprendere profondamente il senso del ministero presbiterale, le ragioni della sua natura missionaria. È il Dio che si “effonde” a chiederci di uscire, di andare per strada, di diventare missionari. Lo chiede a tutta la Chiesa, lo chiede a noi preti. È Lui che ci manda, e dare un volto missionario alla nostra vita significa da un lato pensare ai destinatari, in questo nostro contesto così rapidamente mutato, che davvero assomiglia ad un mare con il suo dinamismo impaziente e scosso dalle onde, ma dall’altro – ed anzi prima di tutto – si tratta di ascoltare la voce di Colui che ci manda a continuare la sua opera di effusione del suo “nome di compassione”. Solo così comprendiamo che la missionarietà non è un’appendice del nostro ministero, ma il cuore stesso della vocazione al presbite- rato. La vocazione di un presbitero nasce dalla capacità di sintonizzarsi con la scelta di Dio di rendersi presente in mezzo agli uomini, di essere il Dio che si effonde. Questa prospettiva missionaria tocca profondamente le tre dimensioni che il Concilio ha indicato come la natura stessa del ministero presbiterale.
Ministri della parola di Dio
Un presbitero vive la sua funzione di annunciatore della Parola di Dio per continuare ad effondere il buon profumo di questo nome, per farne giungere la fragranza a chi non la conosce ancora, o non la conosce più. Che cosa significa predicare il Vangelo come una effusione di profumo a chi ha le narici ostruite, magari da tante precomprensioni sul vangelo stesso? È una domanda ineludibile oggi per chi voglia vivere significativamente il ministero presbiterale, e la risposta certamente va cercata nella capacità di mettere al primo posto nel servizio pastorale l’annuncio della Parola di Dio, offerta con parole nuove che sappiano essere profumo buono per i problemi concreti delle persone che incontriamo. La strada non potrà essere quella di adattare la Parola di Dio ai profumi e agli odori che già circolano nell’aria che respiriamo, perché il Vangelo resta sempre critico verso il mondo, ma si tratta di annunciare con coraggio la “Parola della croce” (1Cor 1,18), che diventa criterio di discernimento per la vita e fa nascere uomini nuovi, liberi, sui quali non regni il male e che non si rassegnino alla miseria del mondo. La prima nostra missione oggi è far diventare il vangelo criterio di discernimento che – nelle vicende caotiche che viviamo insieme ai nostri fratelli in questa epoca – separi la vita dalla morte. Davvero occorre rimettere al centro del ministero presbiterale l’annuncio del Vangelo, secondo gli insegnamenti del Concilio. Ma nello stesso tempo siamo consapevoli che le nostre parole sono oggi incomprensibili per tante donne e tanti uomini, e non solo per ignoranza religiosa, ma anche perché non appartenenti al loro orizzonte di significato. Un predicatore missionario è colui che si sforza di trovare, in una duplice fedeltà al vangelo e alla vita concreta delle persone, delle parole-ponte, che affondando nella straordinaria ricchezza del Vangelo, sappiano toccare l’esperienza quotidiana di chi ascolta, perché possa sentire la maternità della Chiesa pulsare in quelle parole.
Ministri della santificazione con i sacramenti e l’eucaristia
Anche la nostra missione santificatrice, attraverso la quale i battezzati entrano nella Chiesa come realtà della vita nuova in Cristo, oggi deve lasciarsi interrogare dalla necessità di diventare più missionaria, e trovare nuove vie per arrivare al cuore delle persone e trasfigurarlo, perché attraverso di esse sia il mondo stesso ad entrare in questa trasformazione. Mentre celebriamo i sacramenti oggi non possiamo più preoccuparci solo di come essi si celebrino, ma abbiamo il dovere di chiederci che cosa possiamo fare per spiegarne il significato a chi non lo conosce più. E se è vero che ogni atto liturgico contiene già una sua eloquenza, è già un annuncio della fede, è pur vero che nel nostro contesto questa significatività non è più immediatamente percepibile né percepita, ed ha bisogno anch’essa di un nuovo accompagnamento e di un nuovo annuncio. Questa luce ci viene data perché veniamo trasformati in testimoni di Cristo nel mondo, e svolgere il servizio della santificazione deve ormai comprendere anche la funzione di annunciare di nuovo il significato dei segni della salvezza, e il loro legame con la vita concreta. Questo legame, chiaro per le precedenti generazioni, oggi non lo è più per la maggior parte dei nostri fratelli. Come ci ha ricordato Papa Francesco, «non siamo sacerdoti per noi stessi e la nostra santificazione è strettamente legata a quella del nostro popolo, la nostra unzione alla sua: tu sei unto per il tuo popolo».
Guide ed educatori del popolo di Dio
Ed infine anche il nostro servizio di guide della comunità oggi non può che essere attraversato da un forte spirito missionario. La tradizionale funzione di servizio alla comunione tra i cristiani può oggi essere vissuta nel nostro contesto non di rado solo come avvio di processi comunionali, senza che spesso se ne possano vedere i frutti ma- turi. L’inizio di queste strade – capaci di creare comunione dove essa ancora non c’è – passa per la nostra capacità di essere uomini di dialogo, di apertura, di credito e di fiducia data anche a chi abbiamo appena conosciuto, anche a chi è ancora in cammino. La predicazione del Vangelo, e l’esperienza della vita nuova nella liturgia – in un momento come quello che viviamo, che è di sopravvivenza per tante persone – devono più immediatamente ed esplicitamente fiorire nella carità, di cui si può fare esperienza nella comunità. Come presbiteri missionari diventiamo costruttori di comunità in cui si può fare esperienza concreta dell’amore, quell’amore che vuole l’uomo vivo, e per questo sa prendersene cura. Nel nostro contesto italiano spesso le comunità cristiane trasformano i propri confini, devono accogliere sconosciuti, custodire coloro che ne fanno parte da tanto tempo ed aiutarli ad essere ospitali verso chi è appena arrivato e forse non sa ancora bene quali sono lo stile e le regole della comunità. Come preti dobbiamo esercitarci continuamente all’arte dell’ospitalità. Oggi il nostro ministero presbiterale si gioca molto sulla capacità di accogliere le persone con i loro bisogni, quelli materiali e quelli spirituali. Se nel contesto passato la funzione di guida era soprattutto fatta di custodia e di accompagnamento, oggi la prima caratteristica della guida deve essere dunque la capacità di essere ospitale.
Pronti per il viaggio
Come gli antichi missionari, oggi anche noi preti siamo invitati a partire per un vero e proprio viaggio. E come sempre, partire significa innanzitutto imparare a distaccarsi, ad alleggerirsi: camminare è un’esperienza di alleggerimento. Oggi occorre essere preti “leggeri”, imparando a saper distinguere l’essenziale da ciò che non lo è. Oggi più che mai è necessaria questa opera di discernimento per un presbitero, la cui vita rischia di essere appesantita e resa difficile da tante zavorre che spesso possono spa- ventare e rattristare, rischiando di offuscare la bellezza dell’intuizione luminosa che ha fatto nascere la decisione per il viaggio. Davvero è ancora necessario per noi tutto ciò che i presbiteri delle precedenti generazioni avevano nella valigia con cui iniziavano il proprio servizio? Cogliere l’essenziale della propria vocazione, del resto, significherà imparare a rispettare e valorizzare le altre vocazioni, gli altri ministeri, la chiamata che il Signore rivolge alle nostre sorelle e ai nostri fratelli.
Il nostro è dunque un viaggio. “Viaggiare” significherà credere in Colui che ci ha chiesto di mettere i primi passi, sentendoci destinatari di una benedizione che occorre portare con noi mentre si procede, e che diventerà feconda per tanti altri. Si tratta dunque di saper mantenere vivo il legame con Colui che ci ha scelti all’inizio della vocazione, tenere fermo al cuore del nostro ministero una dimensione spirituale. Ravvivare la nostra vita sacerdotale, nelle diverse fasi della vita, significa ravvivare il nostro legame personale con il Signore, con colui di cui ci siamo fidati quando abbiamo iniziato a fare della nostra vita un cammino. Il primo compito è prenderci cura del nostro rapporto con il Signore, della nostra fede, della nostra speranza:
Il segreto del nostro presbitero – voi lo sapete bene! – sta in quel roveto ardente che ne marchia a fuoco l’esistenza, la conquista e la conforma a quella di Gesù Cristo, verità definitiva della sua vita. È il rapporto con Lui a custodirlo, rendendolo estraneo alla mondanità spirituale che corrompe, come pure a ogni compromesso e meschinità. È l’amicizia con il suo Signore a portarlo ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio.
“Viaggiare” significa anche restare costantemente aperti all’esperienza, attenti a chi e a che cosa incontriamo lungo la strada, senza che lo si possa sempre prevedere esattamente in tutti i suoi contorni. Se come preti siamo missionari che camminano con il Signore, questa sequela ha la sua verità innanzitutto nel terreno dell’esperienza, della vita concreta, con l’eco interiore che essa ha, con gli stimoli che essa propone a reinventarsi per continuare a camminare. Allora nel nostro ministero presbiterale diventa importante anche ciò che è casuale, gli avvenimenti improvvisi, l’inatteso e l’informale. E spesso l’improvviso e l’inatteso hanno il volto delle persone concrete che si incontrano. Un prete che vive con il suo Maestro lungo le strade è allora un prete che sa stare con le persone che vivono lì, all’aperto, senza incasellarle per forza in uno schema a priori prima di deciderci ad ascoltarle, ad incontrarle. Il cammino ci impedisce di comprendere il nostro ministero presbiterale come il centro di un sistema in cui tutto viene valutato in base alla distanza da esso o alla conformità con esso. Lungo la strada tutte le voci hanno la stessa dignità, l’insieme delle voci e dei volti che ciascuno di noi incontra per via ci fa sperimentare che ognuno è portatore di un dono, ognuno può svelare all’altro la preziosità della benedizione che su di lui il Signore ha posato. In Italia il ministero presbiterale a servizio della sinodalità, che ci vede incamminati ed impegnati tutti in questi prossimi anni, è quello che sa accostarsi a chiunque incontriamo lungo la via con uno sguardo capace di cogliere prima di tutto la fraternità originaria e poi in questo orizzonte discernere gli elementi di diversità, e non viceversa.
È importante, lungo il cammino, imparare a non perderci, restando protagonisti della ricerca del filo conduttore della nostra storia, continuando a dare alla nostra esistenza la buona forma del cammino discepolare dietro al Signore. In ogni fase della nostra vita cerchiamo di rimanere alla ricerca del nostro equilibrio, costruito attorno all’amicizia con il Signore, e all’amore per la Chiesa, per le sorelle e i fratelli che vi vivono e che siamo chiamati a servire. In questi nostri tempi, che sono anche di confusione, è importante che non abbassiamo lo sguardo, non smettiamo di guardare il cielo, per scorgere quella stella che guida i nostri passi. Smettere di dare del “tu” al cielo, significherebbe perderci. Così come ci si perderebbe se si smettesse di fare attenzione ai propri passi. Ci è richiesta dunque una duplice concentrazione, una fedeltà al cielo e alla storia vissuta quotidianamente. Riuscire a pensare consapevolmente al proprio stesso sguardo, ad entravi dentro, per vigilare se esso resta attento al cielo e alla terra, è questione decisiva per la qualità buona della nostra vita.
Davanti alla straordinaria complessità e varietà di in- contri e di situazioni che accadono quando si cammina lungo il sentiero della missione, siamo chiamati ad essere uomini di discernimento: si tratta di esercitarci all’attenzione e all’adesione alla storia, all’ascolto delle persone e all’interesse per le loro esistenze, con uno sguardo aperto e perspicace nei riguardi delle vicende della storia di vita personale e di quella delle comunità. Non si tratta innanzi- tutto di capire tutto, di analizzare la realtà, ma di cogliere prima di ogni altra cosa che non siamo soli nel cammino ministeriale ed ecclesiale, che il Signore cammina con noi. Il discernimento deve poter generare futuro, aprire strade, ridare entusiasmo per un nuovo orientamento, renderci capaci di nuove prospettive: sarà questo il miglior antidoto al rischio di una crisi e di una perdita progressiva della gioia del nostro ministero, dell’entusiasmo della sequela. Come presbiteri occorre ridiventare capaci di un più consapevole e perspicace orientamento del nostro cammino e della fecondità di vita di ministri, e la via che porta verso questa meta passa per la capacità di costruirci un autoritratto – per così dire – dinamico, che sa leggere ciò che ci è successo nella vita, perché abbiamo assunto alcune posture, quali idee, vicende o caratteristiche hanno portato a farlo. Solo continuando ad attra- versare questa dimensione di conoscenza di noi stessi in ogni fase della propria vita, resteremo gioiosi protagonisti della nostra storia vocazionale e ministeriale, sapremo auto-orientarci, ci sentiremo costruttori di futuro, in una sempre rinnovata coscienza dei nostri doni, delle nostre risorse e delle nostre fragilità, dei nostri desideri, progetti, aspirazioni.
L’ispirazione che ci spinge a fare del ministero un viaggio missionario è la fede nel Signore che ha fatto della sua vita una missione, uscendo dal seno del Padre per venir- ci incontro. Con accortezza, e discernimento, dobbiamo dirci che oggi in Italia è tempo in cui bisogna mettersi in viaggio, un tempo in cui trovarne in noi stessi il coraggio. Esso nascerà dal fare spazio in noi al sogno di Dio. Quando arriveranno le resistenze alla missione, e saremo come preti tentati di rimandare la partenza, dilazionare il rinnovamento, illudendoci di poterci fermare indefinitivamente in forme, modalità e strumenti del passato, ad aiutarci sarà solo l’aver fatto nostro il Suo sogno.