MINISTERO ORDINATO
TRA SCELTA E CHIAMATA
Carissimi lettori,
apriamo con questa monografia l’annata 57 di Presbyteri, ringraziandovi per aver voluto anche quest’anno rinnovare l’abbonamento alla nostra Rivista.
Sollecitati dalla realtà ormai diffusa della diminuzione del clero e del ridimensionamento dei seminari, la nostra monografia riflette sulla dinamica della vocazione al ministero ordinato, sia dal punto di vista antropologico, che coinvolge la libertà nella scelta e nella risposta a una chiamata di Dio, sia dal punto di vista ecclesiologico, che implica una riflessione sulla forma della Chiesa che interpreta, accoglie, trasmette e dona la chiamata stessa. È un’ulteriore occasione dunque per riflettere sull’identità del presbitero, ma anche per approfondire il proprium dei tre gradi dell’Ordine e le relazioni tra di loro.
Anche quest’anno saremo accompagnati dagli Editoriali di don Nico Dal Molin, che aprono i nostri numeri. Sul tema di questo numero, la teologa Milena Mariani offre alcuni spunti di antropologia cristiana in ordine alla comprensione delle dinamiche proprie della vocazione al ministero per indagare la plausibilità del discorso vocazionale nel mezzo dei mutamenti in atto e riflettere sulla chiamata cristiana alla libertà e sulla chiamata al ministero ecclesiale. Don Dario Vitali approfondisce il ruolo della Chiesa nella vocazione al ministero, rileggendo i concetti di ministero, vocazione e Chiesa soprattutto dal punto di vista storico, mostrando come una prassi consolidata può fortemente condizionare l’intera questione del ministero ordinato e dell’accesso agli ordini. Mons. Gianpiero Palmieri, vescovo di Ascoli Piceno, mette in luce alcune difficoltà dei presbiteri nel camminare verso quell’opera di conversione pastorale missionaria della Chiesa iniziata con il Concilio Vaticano II, con la finalità di ridefinire, nel contesto della Chiesa di oggi, l’identità e i compiti del presbitero, anche in relazione con gli altri gradi dell’Ordine. Don Paolo Vigolani ci fornisce alcuni spunti di teologia della vocazione, aiutandoci a comprendere l’evoluzione dell’idea di vocazione nel corso dei secoli e la necessita di ripensarla nella sua dinamica relazionale.
Seguono gli spunti di meditazione di don Giovanni Frausini, nostro membro di Redazione, che da anni riflette su questi temi.
Iniziano in questo 2023 anche le nuove rubriche. A don Mimmo Roma, della Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, e ai suoi collaboratori, abbiamo chiesto di guidarci nella comprensione dei “frutti della Laudato si’, cioè sulle tracce che questa Enciclica sta lasciando nella vita pastorale delle nostre Diocesi. Una seconda rubrica inizierà invece col prossimo numero.
Nelle pagine UAC il Presidente don Stefano Maria Rosati approfondisce la figura di san Francesco di Sales come modello per la vita del presbitero.
Ricordiamo che questo e l’ultimo numero che viene inviato a coloro che non hanno rinnovato l’abbonamento per il 2023. Ci auguriamo che rimaniate tra i nostri lettori e che ci aiutiate a diffondere Presbyteri regalandola e facendola conoscere tra amici e confratelli nel presbiterio.
Vi invitiamo ancora una volta a visitare il nostro sito: attraverso l’iscrizione col codice abbonato potete leggere la monografia in formato digitale, e nello spazio dedicato agli acquisti è possibile fare l’abbonamento direttamente on line e comperare singole monografie o singoli articoli.
Segnaliamo che sul sito è presente anche un video di don Giovanni Frausini (con la collaborazione di Gabriele e Lucia Vitali) dedicato alla figura dei diaconi: Qualche considerazione sul diaconato. È possibile inoltre scaricare gratuitamente la raccolta degli articoli delle due rubriche del 2022: Preti nella letteratura e Cattolici in politica.
A breve avrete notizie più dettagliate sul nostro Convegno, che si terrà lunedì 15 maggio in modalità on line, rimanendo poi sul nostro canale you tube. Già in questo numero trovate le prime informazioni.
Buona lettura!
La Redazione
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Un intreccio di libertà (Milena Mariani)
Il contributo intende offrire alcuni spunti di antropologia cristiana in ordine alla comprensione delle dinamiche proprie della vocazione al ministero. Libertà, scelta, chiamata, vocazione, discernimento sono parole che nel contesto odierno si caricano di nuovi significati o non suggeriscono più nulla riguardo alla loro valenza specificamente cristiana. Si cerca dunque di indagare la plausibilità del discorso vocazionale nel mezzo dei mutamenti culturali e antropologici in atto, per riflettere poi sulla chiamata cristiana alla libertà e sulla chiamata al ministero ecclesiale.
Il ruolo della Chiesa nella vocazione al ministero (Dario Vitali)
Il contributo intende approfondire «il ruolo della Chiesa nella vocazione al ministero». Già il titolo pone più di una domanda: quale ministero? Quale vocazione? Quale Chiesa? Per rispondere, è necessario rileggere l’intera questione soprattutto dal punto di vista storico, mostrando come una prassi consolidata può fortemente condizionare l’intera questione del ministero ordinato e dell’accesso agli ordini.
Chiamati a che cosa? (Gianpiero Palmieri)
I presbiteri sono chiamati oggi a una grandiosa opera di conversione pastorale missionaria della Chiesa, iniziata con il Concilio Vaticano II. I cambiamenti in atto non rendono però facile questa operazione, rischiando di motivare passi indietro, dovuti a una certa “ansia di prestazione”, al diminuire dell’entusiasmo, al rifugiarsi in una “residenza protetta”. Il cammino sinodale e il modello di presbitero proposto da Papa Francesco sono di stimolo verso una ridefinizione dell’identità e del compito del presbitero, anche in relazione con gli altri gradi dell’Ordine.
Spunti di teologia della vocazione (Paolo Vigolani)
Editoriale
don NICO DAL MOLIN
In occasione della 52a Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni (26 aprile 2015), nel messaggio di Papa Francesco, l’icona di riferimento era l’immagine di una “Chiesa in esodo”, che ha il coraggio di stare tra la gente, di portare a tutti la Buona Notizia che Gesù le ha consegnato, di non crogiolarsi in una pericolosa e autoreferenziale contemplazione di se stessa. Francesco disegnava l’identikit di una Chiesa dal volto missionario, capace di scrollarsi di dosso le proprie sicurezze e i propri ruoli, per andare incontro agli uomini e alle donne di questo nostro tempo.
Quando sentiamo la parola ‘esodo’, il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa[1].
L’esodo è una esperienza di chiamata, attraverso la figura di Mosè, e di una scelta, forse non pienamente consapevole, da parte del popolo ebraico oppresso dalla schiavitù in Egitto.
Ciascuno di noi ha il proprio mondo di riferimento. Di fatto esso permette degli ancoraggi chiari e sicuri, ma può rappresentare anche una dura resistenza nel lasciare lo status quo abituale.
Papa Francesco diceva allora, e lo ha ripetuto in molte altre occasioni, che l’humus fecondo di ogni Vocazione è la capacità di vivere, con radicalità e convinzione, il dinamismo dell’esodo, come chiamata e spinta alla missione e come adesione e scelta nel viverla in pienezza. «Se la Chiesa “è per sua natura missionaria” (Ad gentes, 2), la Vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione»[2].
Questo pone una domanda radicale a ciascuno di noi e alle nostre comunità cristiane: come mai fatichiamo così tanto ad uscire dalle nostre impostazioni prestabilite e di routine, per accettare la sfida di vivere con parresìa e coraggio l’apertura a Dio e la solidarietà con le sorelle e i fratelli a noi prossimi?
La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano…. per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, sa andare incontro, cercare i lontani ed arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi» (EG 24)[3].
Tra chiamata e scelta
Ogni cammino vocazionale, che vive la tensione tra chiamata e scelta, è sempre un vero e proprio pellegrinaggio di vita, dove ciascuno cerca libertà e felicità. Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).
Zenta Maurina Raudive, una scrittrice lettone contemporanea, colpita all’età di cinque anni da poliomielite spinale che la costrinse per tutta la vita sulla sedia a rotelle, scrive:
All’unità del mondo contribuisce ogni singola persona che sappia realizzare queste tre cose: spiritualizzare la propria vita; prendersi a cuore il conoscere l’altro e ascoltarlo; essere abbastanza umile per valorizzare ciò che gli è estraneo[4].
Come sono vere e forti le prime parole che Gesù pronuncia e che il vangelo di Giovanni ci consegna: «Maestro, dove abiti?». «Venite e vedrete!»
I primi discepoli non sono rappresentati come dei pescatori della Galilea che abbandonano il loro mestiere, ma come uomini già in ricerca, occupati a trovare il Dio Salvatore che hanno cercato e atteso presso Giovanni il Battista. Non sono i discepoli a scegliere Gesù, ma è Dio che dona al Figlio i suoi discepoli. La vocazione ha origine nel Padre e si concretizza nel «Venite» indirizzato da Gesù ai discepoli di Giovanni e nel «Seguimi» che Filippo si sentirà proporre. Così, i discepoli non seguiranno Gesù solo nel suo insegnamento di Rabbi, ma anche nel suo personale destino di vita. Mettiamolo in preventivo: con Gesù da interroganti si diviene interrogati, da cercatori si diventa cercati.
È la riscoperta delle due domande che Gesù pone ai primi discepoli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,35-42), e a Maria Maddalena: «Donna, chi cerchi?» (Gv 20,11-18).
Due domande, un unico verbo, dove è racchiusa l’essenza stessa dell’uomo: un essere in ricerca, con un punto di domanda perenne piantato nel cuore.
«Non cercare ora le risposte che possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. Il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora», scrive il poeta Rainer Maria Rilke[5]. Gesù, maestro del desiderio, ci aiuta a comprendere come la ricerca nasca sempre da una assenza e quelle domande ci insegnano a volare alto, andando oltre a quanti gridano concitati o sussurrano suadenti: «Accontentati!».
Solo così potremo percepire la bellezza della beatitudine dimenticata: «Beati gli inquieti e insoddisfatti, perché saranno cercatori di tesori e di perle preziose».
Consapevolezze nuove
Per un cammino vocazionale, oggi, occorre una riflessione corale su temi che sono in grande trasformazione: vocazione, ministero, Chiesa. Le traiettorie della chiamata e della scelta non sono in contrapposizione, ma richiedono di essere profondamente integrate tra loro: questa è la fatica del discernimento.
È necessario creare i presupposti per un lavoro in rete, per testimonianze frutto di comunione, di stima e di valorizzazione reciproca delle proprie scelte di vita. Anche la comunità cristiana è chiamata ad una consapevolezza nuova: la ricerca del senso di vita, della propria ‘beatitudine’ evangelica da incarnare e da vivere, non è uno sfizio, ma una dimensione essenziale della vita stessa.
Non è neppure una questione di età; la ricerca di senso vale per tutta la vita. Potremmo dirlo con le parole del poeta inglese Thomas S. Eliot: «Là dove finisci, di lì ricomincia!»[6]
Scrive Luciano Manicardi:
La vocazione non si colloca sul piano del «fare», bensì su quello dell’«essere» (…) La vocazione riguarda il senso della vita, ha a che fare con il mistero della persona, concerne ciò che dà fondamento e stabilità alla vita di un uomo e di una donna, coinvolge un’esistenza personale nell’insieme di tutte le sue relazioni: con Dio, con sé, con gli altri e con la realtà tutta»[7].
Il mistero del cuore umano
Oggi c’è un grande bisogno di logos, cioè di vie di significato vero e profondo per la vita. Senza di esso non si può vivere una esistenza interiormente armonizzata, capace di elaborare le contraddizioni in cui siamo quotidianamente immersi. Essa può coincidere con la via della rivelazione e dell’amore che aiuta ad accettare e a vivere il presente senza renderlo assoluto. In tutto ciò c’è una grammatica utile per affrontare il viaggio nel mistero del cuore umano.
- La vita come cammino e ricerca
«Il cammino è uno dei grandi simboli della vita umana», afferma la scrittrice inglese Evelyn Underhill[8]. In esso sono comprese due realtà essenziali: quello che non è più e quanto non c’è ancora. Il bisogno di esplorare l’ambiente e di andare oltre il dato immediato, introduce al mistero dell’uomo. Basti pensare alla figura di Ulisse o a filosofi, artisti e santi capaci di andare oltre i confini dello scibile attuale: è la via del sapere e del conoscere, che va oltre la logica del fare, oggi tanto esaltata.
C’è una radicale incompletezza nell’essere umano che lo spinge alla costante ricerca. Ce lo ricorda S. Agostino: «Non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato!»[9] È la ricerca di un habitat familiare e affettivo dove riposare e essere accolto. È il desiderio di essere “altrove”, e insieme di tornare alla sicurezza della propria casa.
- Il dolore
Esso rappresenta l’inizio di un percorso per la comprensione di se stessi e per la propria crescita interiore. Il dolore è la legge della realtà, è il battito nel ritmo della vita, è la ricerca di un significato quando tutto appare incomprensibile. Nel dolore ritorna la sfida perenne tra le tante domande della vita e la inesauribile ricerca. Spesso la nostra cultura, ma lo stesso nostro modo di vivere la fede, ci propongono delle risposte prefabbricate ed omologate che servono davvero a poco perché, nel dolore, ogni cammino è assolutamente personale.
- Il “kairòs”
Ci sono situazioni che toccano in profondità la vita umana, in un senso positivo o negativo. Lo confermano gli eventi semplici dell’esistenza: un innamoramento, una paternità/maternità, una scelta di vita che si concretizza nella consacrazione o nel ministero ordinato. In senso negativo ci sono i momenti di malattia, di perdita di una persona amata, di abbandono, di tradimento o di inaspettata solitudine. Sono eventi che sconvolgono equilibri e certezze; sono dei “momenti verità” nei quali non si può fare finta di nulla.
Sono situazioni che offrono uno spiraglio di luce nuova, l’inizio di un cambio, la scelta di una vita diversa. Il cuore umano ha una grande capacità di addomesticare e anestetizzare tutto ciò che può turbare un equilibrio raggiunto. La vita è una sequenza di occasioni e di opportunità per affrontare il mistero, per svilupparsi e crescere, ma quanti le sanno davvero cogliere?
Questi spazi e tempi di spaesamento interiore, in cui risulta difficile riannodare le fila della propria esistenza, possono divenire un reale momento di Grazia (kairòs) in cui ritrovare la gioia e lo slancio del nostro “primo Amore” (Ap 2,4).
Parafrasando una famosa espressione dello scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij, potremmo dire: «Ama la vita più della sua logica razionale e delle sue certezze; solo allora ne capirai il senso profondo e vedrai oltre le apparenze, seminando sguardi nuovi, sguardi di bene sulla terra»[10].
[1] Papa FRANCESCO, L’esodo, esperienza fondamentale della vocazione, Messaggio per la 52ª Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni, 26 aprile 2015.
[2] Ibid.
[3] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Roma – 24 novembre 2013.
[4] Zenta Maurina Raudive, Il lungo viaggio una passione, Paoline, Cinisello Balsamo 1982.
[5] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta – Lettere a una giovane signora – Su Dio, traduzione di Leone Traverso, Adelphi, Milano 1980, 29ª ediz., pp. 141.
[6] Thomas S. Eliot, Quattro quartetti, a cura di Audrey Taschini, Bompiani, Milano 2022.
[7] Luciano Manicardi, A proposito di «vocazione», in Per una fede matura, Elledici, Torino 2012.
[8] Evelyn Underhill, Mysticism, Dutton, New York 1961.
[9] Agostino di Ippona, Le confessioni, Libro IX, 21,15.
[10] Cfr. Fëdor M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Einaudi, Milano 2014.
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