EDUCARE ALLA SPIRITUALITÀ
Carissimi lettori,
questa monografia affronta il tema della spiritualità. Forse neppure per noi cristiani e presbiteri è così chiaro cosa si intenda oggi con questa parola. Siamo circondati da esperienze differenti, che vanno dalla negazione a ogni richiamo di tipo spirituale alla ricerca di esperienze che si muovono nella direzione di un’esaltazione dell’interiorità e del bisogno di senso, ma senza un Dio personale, senza un’appartenenza comunitaria e senza un’apertura ai fratelli.
Con questa monografia desideriamo rimettere al centro la specificità della spiritualità cristiana come dialogo con un Tu divino e vita nello Spirito, intravedendo tempi, luoghi, linguaggi nuovi che possano essere strumenti di educazione alla dimensione spirituale dell’uomo e all’incontro con Dio Trinità.
Anche i presbiteri sono chiamati a coltivare e far crescere la loro spiritualità, nutrendosi della specificità della Chiesa locale e nel confronto con le diverse sensibilità presenti all’interno del presbiterio. In questo modo potranno sempre meglio essere a servizio della crescita spirituale delle persone loro affidate.
Dopo l’Editoriale di don Nico Dal Molin, suor Marzia Ceschia ci introduce alla “grammatica della spiritualità”, cioè a quelle dimensioni imprescindibili di un discorso autenticamente spirituale cristiano, quali l’importanza della dimensione storica e contestuale, la dimensione comunitaria e relazionale, l’umanità quale “luogo teologico” dell’incontro con il Signore.
Don Giuliano Zanchi indaga i nuovi e diffusi linguaggi dello spirituale, per ribadire come essi possono essere utili anche a formare alla spiritualità cristiana, ma solo a patto che essi suppongano un’idea della spiritualità come forma di un’antropologia integrale e sfondo di una cristologia autentica.
Don Luciano Luppi attinge dal magistero di Papa Francesco per mostrare come vicinanza a Dio e vicinanza al popolo siano inseparabili, come ci hanno mostrato illuminanti figure presbiterale degli ultimi decenni.
Gli spunti di meditazione ci sono offerti da don Giovanni Frausini, della Redazione di Presbyteri.
Accanto alla rubrica di quest’anno dedicata a “Il prete e i poveri”, inizia con questo numero una nuova rubrica a cura di mons. Vittorio Viola, Segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Si tratta di un percorso di lettura della Lettera Apostolica Desiderio desideravi per aiutare i presbiteri in quella “formazione liturgica del popolo di Dio” che rimane l’obiettivo di questo scritto di Papa Francesco.
Nelle pagine UAC il Segretario del Centro Studi don Massimo Goni descrive il metodo dei “cenacoli” come proposta della vita associativa dell’Unione Apostolica del Clero.
Trovate in terza di copertina il programma del nostro Convegno, che si terrà nelle mattine del 27 e 28 maggio prossimi, in sola modalità online, sul tema: Così posso ancora fare il parroco. In cammino verso nuovi modelli.
Vi chiediamo un aiuto a diffondere questa nostra iniziativa, che trovate anche sul nostro sito www. presbyteri.it.
Buona lettura!
La Redazione
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La grammatica della spiritualità (Marzia Ceschia)
Qual è la grammatica della spiritualità? Quali le dimensioni imprescindibili di un discorso autenticamente spirituale? Il contributo vuole focalizzare i tratti salienti della spiritualità cristiana rispetto alle istanze della ricerca spirituale attuale, facendo anche riferimento ad alcuni testimoni della storia dell’esperienza cristiana. L’importanza della dimensione storica e contestuale, la dimensione comunitaria e relazionale, l’umanità quale “luogo teologico” dell’incontro con il Signore, aspetti propri della spiritualità cristiana, possono essere feconde opportunità di confronto e di dialogo con la nostalgia di Dio e di significati degli uomini e delle donne contemporanei: in questo i cristiani sono fortemente provocati a una coerenza di vita e a una disponibilità ad ascoltare e ospitare le loro domande e la loro sete.
La vita nello spirito. Condizioni, linguaggi ed esperienze (Giuliano Zanchi)
In un contesto dove lo “spirituale” ha ripreso un ruolo di primo piano, ma spesso diventando il nome del comune bisogno di «star bene», il contributo rimette al centro i principi fondamentali di una spiritualità cristiana: la centralità della “forma” della vita di Cristo, il contatto con la realtà storica e le relazioni che la strutturano, una antropologia integrale, la priorità della Scrittura, della Liturgia e della Comunità quali luoghi nei quali si realizza la vita cristiana. I nuovi e diffusi linguaggi quali la sensibilità artistica, il racconto letterario, la psicanalisi, le prassi della pedagogia possono essere utili ma solo a patto che essi suppongano un’idea della spiritualità come forma di un’antropologia integrale e sfondo di una cristologia autentica.
Vicini a Dio, vicini alla gente (Luciano Luppi)
La voce autorevole di papa Francesco guida a un itinerario che forma la spiritualità del presbitero, inserito nel territorio concreto di una diocesi e tra i volti concreti del suo popolo. Nella rilettura di grandi figure di pastori italiani (don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, mons. Tonino Bello, don Pino Puglisi) emerge forte il legame tra la vicinanza a Dio e quella al popolo, illustrata dal papa in maniera chiara ed efficace nel suo intervento al “Simposio per una teologia fondamentale del sacerdozio” (17.02.2022), di cui si riprendono ampi passaggi.
Editoriale
don NICO DAL MOLIN
Il filosofo e teologo Tomáš Halík, nel saggio Pomeriggio del cristianesimo, in cui tratteggia alcune linee prospettiche per una riforma della Chiesa che la renda un interlocutore attento della cultura e della società del nostro tempo, scrive:
La sfida principale per il cristianesimo di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità. Mentre le forme istituzionali della religione tradizionale ricordano sotto molti aspetti l’alveo di un fiume quasi in secca, l’interesse per la spiritualità di ogni tipo sembra una piena in precipitosa crescita che sfonda i vecchi argini e scava nuovi percorsi[1].
Il risveglio della domanda di spiritualità, quindi, sarebbe l’esito della trasformazione di un’esperienza religiosa che non pare più in grado di rispondere alle esigenze delle persone di oggi. Ciò che Tomáš Halík propone, analizzando le forme e le manifestazioni di questa nuova domanda di spiritualità, è in profonda sintonia con la ricerca promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto G. Toniolo dell’Università Cattolica del S. Cuore a Milano, curata da Rita Bichi e Paola Bignardi e pubblicata nel recente testo Cerco, dunque credo?[2]. C’è una coincidenza veramente sorprendente con l’analisi di Halìk, nei cento giovani intervistati, di età tra i 18 e i 29 anni, sollecitati a rispondere alla domanda: «Perché vi siete allontanati dalla Chiesa?». Le loro testimonianze aiutano a comprendere che cosa si sta muovendo nel mondo interiore delle persone di questo nostro tempo.
Spiritualità è…
Sono molte le immagini con cui i giovani rappresentano la loro idea di spiritualità[3].
La prima immagine è semplice e insieme dinamica: la spiritualità è un viaggio, un cammino, una strada da percorrere. Il viaggiare, quindi, è vissuto come una profonda e coinvolgente esperienza interiore. Dice una ragazza: «Viaggiare potrebbe significare qualcosa di interiore nel senso di viaggiare dentro sé stessi per scoprirsi … quindi per scoprire la felicità!». È un viaggio impegnativo, perché richiede di “andare oltre”, di muoversi verso ciò che è ignoto, accettando la sfida di trascendere la propria persona e la propria esperienza.
Spiritualità significa ricerca dentro sé stessi, in cerca del proprio io più profondo e forse anche più vero, svelando a sé stessi le paure e i desideri più profondi del proprio cuore. «La spiritualità – dice un’altra ragazza – mi fa pensare ad una ricerca tanto interiore quanto esteriore, nel senso di uno sguardo introspettivo per cercare di capire innanzi tutto me stessa e poi anche il mondo che mi sta intorno. Cercare di dare un senso all’universo forse è lo scopo ultimo dell’essere umano».
È il segnale di una inquietudine interiore che non teme la sfida e la tensione insita in ogni ricerca. La spiritualità è vista come un continuo viaggio interiore.
In questo viaggio interiore emerge anche un secondo aspetto: è l’incontro con la “natura” ad assumere un ruolo importante. «Io ho la fortuna di essere circondata dalla bellezza – afferma un’altra ragazza – mi capita, a volte, quando sono un po’ più triste, oppure ho bisogno di pensare … vado a guardare il mare, ne ammiro la bellezza, la contemplo per potermi tirare su».
La spiritualità è associata ad una immersione nella natura percepita come fonte di serenità e tranquillità interiore, perché aiuta a dimenticare ciò che crea inquietudine, ansia e turbamento. Qualcuno dei giovani intervistati, riandando con la memoria a qualche esperienza in cui ha sperimentato un intenso coinvolgimento interiore, ricorda i momenti di preghiera sotto le stelle, magari durante un campo-scuola, e racconta che la solitudine e il silenzio della notte gli facevano percepire la presenza di Dio.
E ancora: la spiritualità intesa come bisogno di sicurezza, di stabilità e viene rappresentata con l’immagine del “centro” interiore vissuto come porto sicuro, come rifugio tranquillizzante. Come non ricordare le parole della canzone di Franco Battiato:
«Cerco un centro di gravità permanente,
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente.
Over and over again»[4].
Viaggio e radici
Si potrebbe dire che i giovani interpretano la loro vita come un viaggio alla ricerca di un luogo “dove” piantare le proprie radici. È domanda di stabilità, ma di una stabilità capace di accogliere ed integrare una componente di provvisorietà e di ulteriorità. Una saldezza inquieta, una ricerca di armonia e benessere, una tensione verso una felicità soggettiva, percepita come uno stato interiore che tiene in armonia corpo, psiche, spiritualità, e religione. Viaggio e radici: sembra un paradosso. Ma è un paradosso profondamente cristiano.
Ricordo una espressione usata dal teologo domenicano francese Jacques Loew. Diceva così:«Siamo chiamati ad essere… alberi che camminano» E aggiungeva:
Si dice che gli alberi siano immobili. Eppure l’albero non è inchiodato a terra. Avanza, cammina passo a passo. Cammina, immortale, per mezzo dei semi (…) Anche se l’albero muore nei rami, nel tronco e nelle radici, grazie ai semi esso vive senza fine né limite. Non piangiamo di fronte alle nostre istituzioni che vacillano, o davanti alle nostre case pericolanti. Forse hanno fatto il loro tempo … L’importante è spargere i semi lontano[5].
Il filosofo canadese Charles Taylor, in una conferenza tenuta nel gennaio 2023 all’Università Cattolica S. Cuore di Milano, diceva:
Viviamo in un’epoca in cui le persone si pongono molti interrogativi e trovano molto difficile darsi delle risposte (…) In quest’epoca nasce un’esigenza: «Voglio trovare la mia direzione, voglio trovare ciò che veramente mi esprime». Sono certo che questa prospettiva, secondo la quale anche la vita spirituale, non solo quella artistica, sarebbe caratterizzata da un orientamento personale (non solo per ciò che concerne la forma della mia vita, ma anche – a livello più profondo – la sua direzione religiosa e spirituale), abbia contribuito a inaugurare questo cammino (…) Penso che lo sviluppo della nostra epoca confluisca con molta naturalezza in quella che ho definito come “la cultura dei cercatori”[6].
Questo sembra pienamente confermarsi. La spiritualità, nella concezione che i giovani mostrano di avere, è un cammino di ricerca che porta verso sé stessi, verso la propria interiorità, in una ricerca di benessere e di armonia interiore. È vissuta come una esperienza diversa da quella religiosa, che porta verso Dio, il più delle volte percepito come presenza minacciosa, giudicante, garante di quelle regole che i giovani sentono come mortificanti il loro desiderio di vita e di libertà.
Tutto ciò non è esente dal rischio del narcisismo e del ripiegamento su sé stessi, ma apre comunque a grandi possibilità di interpretazione dell’umano e di esplorazione di esso con una sensibilità oggi molto viva. E se in un passato, per molti aspetti ancora presente, molte persone hanno vissuto e vivono un percorso che va da Dio alla spiritualità, oggi questo percorso ha assunto una direzione inversa: dalla spiritualità, forse … a Dio.
Compagni di viaggio … è ancora possibile?
Scrive Paola Bignardi:
Una giovane afferma che nessuno le ha insegnato a “pregare”, ma piuttosto a “recitare preghiere”. Il contrasto tra i due verbi – pregare e recitare – mette bene in evidenza l’esigenza di un’esperienza interiore che è fatta per connettersi al Mistero, all’Invisibile e per coinvolgere tutta la persona. Come avventurarsi senza una guida su un territorio così delicato e affascinante?[7]
C’è ancora spazio per essere dei compagni di viaggio in questo cammino?
Negli Atti degli Apostoli c’è un testo che richiama in maniera immediata il bisogno e la bellezza di questa “compagnia”. In Atti 8,26-40 si racconta l’incontro tra il diacono Filippo e l’Etìope eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia.
«Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’ avanti e accòstati a quel carro”» (At 8,29). Non si tratta solo di affiancarsi fisicamente a quel convoglio in movimento, ma piuttosto di affiancarsi a un uomo che sta percorrendo la strada della propria vita, che sta camminando dentro ai suoi problemi, che cerca di elaborare la sua storia, il suo passato, il suo avvenire. Chi è quell’uomo? “Avvicinati a lui, accostati a lui, raggiungilo”, suggerisce ancora lo Spirito a Filippo.
Non si cresce da soli, ma in una relazione fatta di dialogo e di condivisione. E se questo non si realizza, tutti noi siamo testimoni di quante storture esistenziali possono accadere.
I compagni di strada nella vita sono figure vitali. Con loro si può condividere la fatica della ricerca e della crescita, lo scoraggiamento della solitudine, della resistenza e della paura, l’ansia dei dubbi e la gioia delle piccole o grandi conquiste che ridanno fiducia al cuore. La crescente domanda di “spiritualità”, oggi, dice molto delle donne e degli uomini a noi contemporanei, del loro desiderio di pienezza e armonia di vita, della loro disponibilità a camminare e a cercare.
Questo dovrebbe interrogarci e provocarci nel fare un serio esame di coscienza sulla qualità spirituale delle esperienze che vengono vissute e proposte dalle nostre comunità cristiane. Forse, un eccessivo investimento di risorse personali e comunitarie in ciò che è organizzativo e gestionale impedisce di cogliere e gustare il nucleo spirituale profondo presente nell’annuncio del vangelo di Gesù.
«Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Quella stessa domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli, la rivolge a ciascuno di noi, oggi. È la domanda insistente che ritorna nel famoso musical Jesus Christ superstar: «Gesù Cristo Superstar, sei quello che dicono che tu sia?» Forse si è guardato con troppa diffidenza o disinteresse a questo tentativo di riportare Gesù dentro alla storia di questo nostro mondo, per avere da Lui le risposte che il mondo non sa darsi.
I giovani, con la loro inquieta ricerca spirituale, ci offrono una chiave di ingresso nel loro mondo interiore: siamo disponibili a entrarvi? Siamo disponibili a entrare in dialogo con la loro sensibilità, che potrebbe contribuire a ridare anima a modi di vivere la vita cristiana troppo spenti e abitudinari?[8]
Ricordo uno slogan che un gruppo di giovani aveva lasciato scritto in un grande striscione, all’ingresso della comunità ecumenica di Taizé: «Lo spazio tra Dio e l’uomo o si riduce o noi restiamo soli». Solo Gesù può accorciare infinitamente questo spazio.
Forse è per questo che mi riecheggiano dentro alcune espressioni con cui lo scrittore francese Christian Bobin tratteggia la figura di Gesù, in un piccolo ma straordinario libro dal titolo L’uomo che cammina.
Cammina. Senza sosta cammina. Si direbbe che il riposo gli è vietato (…) Va dritto alla porta dell’umano. Aspetta che questa porta si apra. La porta dell’umano è il volto. Vedere faccia a faccia, da solo a solo, uno a uno (…) È forse l’unico uomo che abbia mai davvero parlato, spezzato i legami della parola e della seduzione, dell’amore e del lamento. È un uomo che va dalla lode alla disaffezione e dalla disaffezione alla morte, sempre andando, camminando sempre. Non fa dell’indifferenza una virtù. Un giorno grida, un altro giorno piange. Percorre l’intero registro dell’umano, l’ampia gamma emotiva, così radicalmente uomo da raggiungere dio attraverso le radici. È tenero e duro. Spezza, brucia e riconforta. La bontà è in lui come una materia chimicamente pura, un diamante[9].
[1] T. Halík, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare, Vita e Pensiero, Milano 2022, 191.
[2] R. Bichi – P. Bignardi, Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità, Vita e Pensiero, Milano 2024.
[3] Cfr. P. Bignardi, La nuova spiritualità? È un viaggio alla ricerca di sé, in Avvenire 29 ottobre 2023.
[4] F. Battiato, Centro di gravità permanente, nell’album “La voce del padrone”, EMI italiana, Milano1981.
[5] J. Loew – J. Faizant, Parabole e Favole, Società Editrice Internazionale (SEI), Torino 1979, 120.
[6] Ch. Taylor, intervento al Convegno La secolarizzazione e le sue sfide, Milano 10 gennaio 2023; questo intervento è pubblicato nel testo dell’autore: Questioni di senso nell’età secolare, a cura di A. Gerolin, trad. di M. D’Avenia – P. De Simone, Mimesis, Milano 2023.
[7] Bignardi, La nuova spiritualità? È un viaggio alla ricerca di sé.
[8] Ibidem.
[9] Ch. Bobin, L’uomo che cammina, a cura di G. Dotti, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1998.
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