PER UNA PASTORALE SOSTENIBILE
Carissimi lettori,
alle soglie del nuovo Anno Pastorale la nostra Rivista mutua un termine che appartiene alle scienze ambientali ed economiche per applicarlo alla missione della Chiesa, e va dunque alla ricerca di premesse, metodi e strumenti perché la pastorale oggi sia davvero “sostenibile”, in grado dunque di reggere il presente e di preparare il futuro.
Sentiamo tutti (preti, consacrati e laici, senza differenza) di essere in un tempo faticoso, sia a livello personale che pastorale, segnato da una parte dalla necessità di cambiare, dall’altra dalle resistenze al cambiamento. Insieme, e alla luce del cammino sinodale che stiamo vivendo, desideriamo guardare alle nostre comunità con speranza e responsabilità, invitando a riflettere sulle pratiche presenti, a imparare a discernere nelle diversificate situazioni e a facilitare l’ascolto di più voci all’interno della comunità cristiana.
Dopo l’Editoriale di don Nico Dal Molin, la nostra monografia parte dalla Parola di Dio, come luce per il cammino. Il brano per noi scelto da don Aldo Martin è quello del Concilio di Gerusalemme (At 15) come esemplare per la dimensione sinodale della Chiesa e come invito al coraggio, che oggi come allora chiede forse di “lasciare” qualcosa considerato finora essenziale, per proseguire il cammino. Pierpaolo Triani, partendo dalla voce delle comunità dopo questo primo anno sinodale, ci accompagna in un percorso di metodo, nella convinzione che il rinnovamento pastorale passa attraverso l’assunzione consapevole di una direzione, una maggiore cultura metodologica, il riconoscimento di alcuni rischi, un cambiamento di logica operativa e l’assunzione di alcuni criteri di riferimento.
Il nostro ascolto prosegue con il contributo di tre voci a cui abbiamo chiesto di guardare il tema dal proprio punto di vista per indicarci piste possibili, rischi e opportunità di questo tempo. Giuseppina De Simone sottolinea la necessità di un’effettiva corresponsabilità di tutti nell’edificazione e nella missione della Chiesa, attraverso l’esercizio di un discernimento comunitario e una sinodalità vissuta nell’ordinarietà. Giuseppe Savagnone riprende con forza l’immagine del poliedro, sottolineando che ci sarà vera sinodalità quando la varietà dei carismi sarà riconosciuta e valorizzata, rinunziando alla logica verticistica del potere. Don Domenico Marrone infine ci indica come il discernimento comunitario sia il modo o lo stile ordinario della comunità cristiana credente che vive nella storia abitata dal Risorto.
Continuano le nostre rubriche: parlando di “preti e letteratura” la professoressa Arianna Punzi ci introduce nel mondo dantesco presentandoci la Commedia come viaggio verso la libertà del discernimento. Nella rubrica dedicata ai cattolici in politica Daria Gabusi ci parla dell’esperienza di Aldo Moro. L’articolo UAC è dedicato anche in questo numero a un ulteriore approfondimento della figura di mons. Fortunato Maria Farina.
È stato da poco pubblicato all’interno dell’area abbonati del nostro sito il secondo contributo online: Sua Eccellenza dom Gjiergj Meta, vescovo di Rrëshen (Albania) offre una riflessione su La dimensione missionaria nel ministero presbiterale. Questo video segue quello didon Stefano Guarinelli sul tema: Per una pastorale della “relazione”. Ricordiamo che l’area abbonati è accessibile previa iscrizione nella sezione dedicata che trovate sul nostro sito (www.presbyteri.it) utilizzando il codice abbonato personale posto sull’etichetta con cui vi è stata inviata la rivista cartacea.
Con questo numero trovate anche il corposo fascicolo che riunisce i contributi rivisti dai relatori presenti al nostro Convegno del 9 maggio scorso. Ne consigliamo caldamente la lettura e la diffusione (possono essere acquistati in formato pdf attraverso il sito): il tema affrontato – Tra mistero e storia. La formazione permanente dei presbiteri – è di grande importanza per l’avvio di nuovi percorsi formativi all’interno dei nostri pesbitèri, sempre più necessari in questo momento storico e all’inizio di un nuovo Anno Pastorale.
Chi desidera ricevere la NewsLetter di Presbyteri è pregato di inviare l’indirizzo mail a segreteria@presbyteri.it.
Anche questo numero è presentato da un breve video lancio che don Nico Dal Molin, nostro editorialista, ha preparato sul tema. Potete vederlo sul sito (www.presbyteri.it) e aiutarci a diffonderlo attraverso i vostri social.
Buona lettura!
La Redazione
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Una “mappa del tesoro”.
L’audacia del Concilio di Gerusalemme (At 15) come orientamento per i nostri giorni (Aldo Martin)
Il Concilio di Gerusalemme (At 15) è esemplare circa la dimensione sinodale della Chiesa. Tuttavia, questo aspetto non ne esaurisce tutte le potenzialità. Infatti, se la circoncisione era semplicemente necessaria per la salvezza, si è riusciti a capire che la si poteva anche abbandonare. Da imprescindibile essa è divenuta archiviabile. Questa audacia della Chiesa delle origini potrebbe fungere da “mappa” per suggerire uguale coraggio alla Chiesa di oggi, che, su diversi versanti, più che aggiungere, potrebbe essere invitata a lasciare qualcosa. Anche di necessario.
Una questione (anche) di metodo (Pierpaolo Triani)
Il tema della sostenibilità dell’azione pastorale nel contesto attuale, segnato da profondi cambiamenti, chiama in causa anche il tema del metodo, delle logiche con cui si opera. L’articolo, dopo aver richiamato l’esigenza di un rinnovamento metodologico, emersa anche dal primo anno di ascolto del cammino sinodale italiano, mette in luce come un cambiamento ‘sostenibile’, cioè attuabile dalle comunità e dai presbiteri, passi attraverso la qualificazione delle forme esistenti, il loro eventuale aggiornamento e l’individuazione di nuove forme di azione. Questo processo richiede però a sua volta: l’assunzione consapevole di una prospettiva pastorale, una maggiore cultura metodologica, il riconoscimento di alcuni rischi, un cambiamento di logica operativa, l’assunzione di alcuni criteri di riferimento. È su questi aspetti che l’articolo si sofferma in modo specifico.
Solo insieme è sostenibile (Giuseppina De Simone)
La sostenibilità della pastorale non è una questione di razionalizzazione e di semplificazione. Oltre il rischio dell’autoritarismo che facilmente si ripropone in un tempo di incertezza, occorre riconoscere il dono che in virtù
dell’azione dello Spirito ciascuno è per la comunità nella specificità della sua vocazione e condizione di vita e l’effettiva
corresponsabilità di tutti nell’edificazione e nella missione della Chiesa. L’esercizio di un discernimento comunitario
e una sinodalità vissuta nell’ordinarietà sono quel che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo e che rende la pastorale veramente sostenibile.
La sinodalità alla prova della pastorale ordinaria (Giuseppe Savagnone)
Il termine “insieme” richiama il cammino sinodale, il quale non si propone come «un peso opprimente» che deve
«sovraccaricare» le nostre comunità, ma alleggerirne la fatica. Tutta la sacra Scrittura è pervasa da un messaggio di leggerezza. La sinodalità dovrebbe aiutare a viverlo. Purché si prenda sul serio la logica del poliedro, in cui le diverse facce mantengono la loro identità e contribuiscono grazie ad essa alla pienezza del tutto. Così nella nostra pastorale ci sarà vera sinodalità quando la varietà dei carismi sarà riconosciuta e valorizzata, rinunziando alla logica verticistica del potere.
Il discernimento comunitario: una moda o un modo di essere chiesa? (Domenico Marrone)
La complessità culturale e sociale del nostro tempo ha fatto riscoprire la prassi del discernimento compiuto comunitariamente. È lo Spirito il primo protagonista del discernimento comunitario, non solo perché arricchisce la Chiesa dei vari carismi ma perché aiuta a viverli nell’unità. Il soggetto che fa discernimento è indubbiamente la comunità. Oggetto del discernere ecclesiale è il “da farsi” in situazioni concrete, dove la comunità è inserita. Il discernimento comunitario è il modo o lo stile ordinario della comunità
cristiana credente che vive nella storia abitata dal Risorto.
Editoriale
don NICO DAL MOLIN
Introducendo una riflessione su questo tema, il sociologo e pastoralista austriaco Paul Zulehner, in maniera provocatoria, scrive: «Una pastorale sostenibile? È una fatica d’Ercole».
Stiamo parlando di pastorale sostenibile, ma siamo già convinti che è terribilmente faticoso cambiare il nostro modo di pensare e di agire. Eppure, la ricerca di una proposta pastorale in grado di intercettare le domande essenziali che sgorgano dalla vita delle comunità cristiane e di proporre risposte significative non preconfezionate, ma piste di ricerca plausibili e praticabili, non è solo una possibilità, è piuttosto una necessità.
Sostenibilità
È una espressione che è entrata oramai prepotentemente nel vocabolario quotidiano, con il rischio di diventare una di quelle parole-slogan super inflazionate che, a forza di essere usate, perdono la forza motivazionale e la carica di passione che portano con sé.
“Sostenibilità” è divenuta sempre più il nuovo paradigma di ogni processo di sviluppo, personale, sociale, ambientale e tanto altro ancora. Essa riunisce in sé caratteristiche importanti per la conservazione di un ecosistema fragile ma anche per lo sviluppo di ogni processo di crescita umana. L’uso intelligente e non improvvisato delle risorse umane, la capacità di individuare obiettivi realisticamente proponibili e lo sforzo di un lavoro di verifica costante (dimensione spesso carente nelle nostre proposte pastorali!) ci aiuterebbero ad interagire in maniera più rispettosa e creativa nei confronti di una vita sempre più fluida e complessa.
Anche nell’immaginare nuovi processi di evangelizzazione, le dimensioni della “sostenibilità” potrebbero divenire un ulteriore criterio per un discernimento in ascolto dello Spirito.
Sarebbe un aiuto per riscoprire, in tutta la sua forza di provocazione e bellezza, quel discorso che papa san Paolo VI
pronunciò all’ONU, per dire “no” alla guerra, per parlare a nome del Concilio, per ricordare la grande esperienza della
Chiesa. Una sua frase andrebbe scolpita, scritta, ripetuta: «Siamo esperti in umanità».
È la stessa logica che guida Papa Francesco quando, nel quarto capitolo dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium,
offre i “quattro principi” (nn. 221-237) o criteri-guida, che servono al discernimento per giungere a scelte valide e lungimiranti per una ordinata vita sociale ed ecclesiale.
La sostenibilità non riguarda solo il carico di impegni molteplici e frammentari che gravano sulla vita dei preti, creando
spesso malessere e disorientamento, ma tocca al cuore la vita stessa delle comunità cristiane. Come non ricordare il ritornello incessante con cui, nel libro della Apocalisse, si concludono i messaggi alle sette chiese dell’Asia Minore (2,1-3,22): «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese»?
Leggerezza
Leggerezza: potrebbe essere un altro modo per declinare la richiesta di sostenibilità che emerge dai ministri ordinati e
dalle comunità cristiane, oggi?
C’è un autore contemporaneo che, da un pulpito laico, ha bene interpretato il desiderio e lo sforzo di mettersi in ascolto della realtà e dello Spirito per immaginare una Chiesa che dialoga con le donne e gli uomini suoi contemporanei: è Italo Calvino.
Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio, è il libro di Italo Calvino che meglio rappresenta la filosofia di questo autore. Infatti, il tema delle lezioni che avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard era: «Alcuni valori letterari da conservare nel prossimo millennio». Purtroppo Calvino morì nel settembre 1985 e non riuscì a presentare questo capolavoro.
I contenuti della prima edizione furono recuperati dalla moglie Esther Calvino e poi rielaborati. In Lezioni Americane, Calvino parla di cinque concetti fondamentali (del sesto, “sul cominciare e sul finire”, si hanno solo degli appunti) che riguardano non solo la letteratura ma qualsiasi altra forma espressiva e, soprattutto, che toccano la vita in sé: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità.
Ci interessa soffermarci sulla prima lezione, quella che ha come tema “la leggerezza”. Innanzitutto, Calvino dice: «Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore».
Da una parte invita a vivere con “leggerezza”, ossia con la capacità di non dare peso all’inessenziale, ma di liberarsene riuscendo appunto a “planare sulle cose”; dall’altra dice che essere leggeri non significa essere superficiali, bensì essere un passo avanti rispetto a chi rincorre l’eccesso.
Scrive ancora Calvino: «la leggerezza per me si associa con 0la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso (…) Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca».
Precisione e determinazione per essere leggeri… queste espressioni hanno qualcosa da dirci nella ricerca di una “pastorale sostenibile”? E perché la leggerezza pensosa descritta da Calvino, in tutt’altro contesto e con altri obiettivi, può essere rilevante anche nella nostra riflessione ecclesiale?
La risposta è abbastanza semplice: nel tempo in cui viviamo, siamo immersi nella pesantezza della routine quotidiana,
nello stress, nella rabbia, nell’insoddisfazione, nelle delusioni, nelle aspettative frustrate, e così via. Lo stesso ministero
presbiterale è chiamato a doversi immaginare in un modo “diverso” di essere e di collocarsi nel contesto della propria
scelta di vita.
Potremmo declinare la leggerezza pensosa di cui parla Calvino con le parole di papa Francesco:
Mi piace l’atteggiamento che nasce dalla fiduciosa presa in carico della realtà, ancorata alla sapiente Tradizione viva e vivente della Chiesa, che può permettersi di prendere il largo senza paura. Sento che Gesù, in questo momento storico, ci invita ancora una volta a “prendere il largo” (cfr Lc 5,4) con la fiducia che Lui è il Signore della storia e che, guidati da Lui,
potremo discernere l’orizzonte da percorrere.
È quanto afferma il profeta Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio
una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19).
Custodi di vita
«Il nostro compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita»5. Così scrive Elias Canetti, il romanziere e saggista bulgaro, premio Nobel 1981 per la letteratura.
Custodi di “quale vita”?
In questo tempo di cammino sinodale la Chiesa è chiamata ad ascoltare e a lasciarsi profondamente interpellare: che cosa si attende, in generale, la gente dalla Chiesa oggi? Anche chi non viene più in chiesa, attende attenzione ai propri problemi concreti, cioè prossimità fatta di nuove relazioni, una parola di speranza e di fiducia che l’aiuti a reggere in questo periodo di smarrimento e di precarietà.
Mai come ora si debbono far funzionare i consigli pastorali delle comunità ecclesiali, non solo perché i preti sono pochi e i laici devono “darsi da fare”, ma perché questi consigli sono i luoghi dell’ascolto e della ricerca in cui tutti i fedeli esercitano il loro sacerdozio, la missione di partecipare alla vita della Chiesa che viene dal battesimo.
Un consiglio pastorale deve preoccuparsi dei “nostri” ma anche, e forse più, degli “altri”, per individuare i modi per farsi
prossimi a “tutti”.
Sta maturando una comune consapevolezza: non siamo dei nomadi senza casa né degli avventurieri senza scrupoli; siamo piuttosto dei pellegrini che cercano la loro meta, tra dubbi e fatiche, ma anche con coraggio e speranza.
Potremmo individuare una icona vitale per questo cammino di consapevolezza e discernimento: è l’icona del pellegrino, dell’homo viator – come lo definiva Gabriel Marcel (1944) – che non è un naufrago disperso, un malinconico randagio o un vagabondo nomade e smemorato.
«Se l’uomo è essenzialmente un viandante, ciò significa che egli è in cammino verso una meta che vede e non vede.
Egli non può perdere questo sprone, senza divenire immobile e senza morire».
Vorrei proporre quattro aspetti per una cornice di riferimento entro cui collocare una riflessione più articolata per un
cammino di scelte personali, ministeriali e pastorali da vivere e da operare.
-Relazione personale: essa deve essere rimessa al centro di ogni ulteriore passaggio. Senza relazioni il nostro agitarci è
vano e risulta privo di senso. Abbiamo bisogno di tornare a “vivere il tempo” più che ad “occupare spazi”. Significa fare
una cernita, con una verifica seria e condivisa, senza paura e senza sconti, dei luoghi sui quali far convergere i nostri sforzi di custodia della vita.
-Ascolto: parlare di relazione significa parlare di ascolto di ciò che le persone ci dicono e di ciò che la realtà può raccontare. Questo è ben più importante di tutte le parole che si possono dire. È l’arte di ascoltare i bisogni di questo momento, che divengono i “mondi possibili” nei quali lasciarsi coinvolgere. Ma come uscire dalle cornici di cui siamo parte e che tanto ci rassicurano?
-Fragilità, debolezza e precarietà: sono dimensioni che tornano prepotentemente alla ribalta come attenzione antropologica, spirituale e pastorale nell’annuncio del Vangelo di Gesù. Questo ridimensiona drasticamente ogni sindrome di onnipotenza e ogni ansia di prestazione. Ricordando ciò che afferma San Paolo: «Quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor 12,10).
Il quarto lato della cornice, forse quello fondamentale da cui ripartire, è imparare a declinare insieme «l’alfabeto della
fede». La dimensione della fede è quella centrale da cui ripartire, sia come formazione dei presbiteri che come crescita della comunità cristiana.
In Presbyteri 6-2020, tematizzando il cammino dell’essere “preti adulti”, si ricordava come Papa Benedetto XVI, fin da quando era il giovane teologo Joseph Ratzinger, aveva intuito che il grande problema per la Chiesa del nostro tempo è il tema della fede.
Questa è la sfida pastorale prioritaria. I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in sé stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: «Perché credo»? Occorre far riscoprire la bellezza e l’attualità della fede come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona.
Non credo ci siano formule pastorali in grado di dire con chiarezza come raggiungere una pastorale sostenibile. Ciò che si può affermare, piuttosto, è che non può affievolirsi l’inquietudine della ricerca. Nella ricerca c’è tutto: il cammino, la lotta, il desiderio di osare, le paure, le resistenze e gli ostacoli, i momenti di confusione come quelli di chiarezza, la forza della comunione e il rischio della solitudine, la tentazione e la Grazia.
Diventano più che mai attuali le parole dello scrittore francese Julien Green: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli».
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